“C'č Masetti ch'č primo portiere”

Il più difficile segreto del calcio resta la formula con la quale si dà vita a una squadra. E' una mistura in cui bisogna fondere volontà e stile dei singoli in un'armonia collettiva. E poi bisogna distribuire bene nei reparti l'estro, l'intelligenza, le risorse atletiche, in un tutto che sappia integrarsi senza forzature. La Roma di Testaccio seppe raggiungere questa miracolosa fusione, mettendo in scena un gioco garibaldino, ma anche riflessivo e scaltro, tutto intessuto di praticità, che spesso coglieva impreparati gli avversari. L'orgoglio di appartenere alla Roma, quale che fosse il risultato ottenuto dalla squadra, da quei giorni è diventato un carattere distintivo dei tifosi giallorossi. E la fedeltàalla squadra venne simboleggiata dal motto che Ferraris IV, il capitano, faceva recitare a tutti i giocatori prima della partita: «Chi se ritira dalla lotta / è 'n gran fijo de 'na mignotta». Queste qualità morali e di stile derivavano in gran parte dalla personalità e dal talento di Fulvio Bernardini, che, come il grande giornalista sportivo Bruno Roghi seppe sintetizzare in una felice immagine, distribuiva il pallone ai compagni in modo che l'azione continuamente si aprisse o si raccogliesse «quale un ventaglio manovrato da abili dita». Bernardini, all'inizio degli anni Trenta, era uno dei più celebri giocatori d'Europa. Aveva già indossato più di venti volte la maglia della nazionale e questo per un calciatore nato a Roma equivaleva ad una supremazia assoluta. I giornalisti stranieri lo chiamavano il "Kada italiano". Kada era il più celebrato centromediano-regista del calcio danubiano, che allora andava per la maggiore. Fulvio aveva cominciato a giocare nell'Esquilia, come un agile portierino. Voleva iscriversi alla Fortitudo, ma quando si presentò per sostenere il provino, arrivò tardi e trovò il cancello chiuso. Finì così alla Lazio dove, per le sue doti tecniche, da portiere fu poi spostato a mezzala sinistra. Ma fu come centro sostegno e regista della squadra che ebbe la sua più autorevole consacrazione in nazionale, il 22 marzo 1925. Era il primo giocatore romano a ricevere questo onore. Nel 1926 Bernardini venne acquistato dall'lnter.
Due anni dopo però il giocatore non seppe resistere al richiamo di Roma e diventò uno dei pilastri della squadra giallorossa. Ma un altro giocatore, oltre a Fulvio Bernardini, merita gli onori della ribalta, quando si nomina la Roma di Testaccio: Guido Masetti, il portiere che William Burgess fece acquistare perché «matto». E per convincere i dirigenti della Roma raccontò loro questa storiella: «Su una collina nei pressi di Londra, esiste un tempietto dedicato al protettore dei pazzi. Ogni anno, alla fine del campionato, i portieri inglesi ci vanno tutti insieme in pellegrinaggio. Un vero portiere non è un tipo normale. Ho conosciuto Masetti ed è più pazzo di un cavallo da corsa. E' il portiere che fa per noi». Oltre che una vena di originalità, Masetti aveva anche un cuore d'oro. Ma era soprattutto un buontempone. Negli alberghi si vestiva da cuoco. Nella trasferta di Vienna girò per le strade con una pesante catena di ferro al collo. E combinava molti scherzi ai compagni. A Verona si mise in luce parando le bordate di Levratto, che faceva il servizio militare in quella città. Fu l'arbitro veronese Dal Bianco a parlare di Masetti al cav. Baldoni, uno dei dirigenti della Roma. Baldoni ne parlò all'allenatore, Burgess, che già conosceva Masetti, e per farlo acquistare dai suoi dirigenti raccontò la storiella. Masetti fu così della Roma. Si presentò negli spogliatoi di Testaccio il 15 maggio 1930 e Burgess per ammorbidire le sue pretese economiche, lo apostrofò duramente davanti a Sacerdoti: «di portieri come lei ce ne sono mille». Ma noi sappiamo che lo stimava. Alla prima partita di campionato la Roma giocò a Modena. Durante una fase di gioco Masetti chiese la palla a De Micheli, ma l'attaccante Manzotti si insinuò tra i due e mise in rete. La Roma riuscì poi a pareggiare, grazie ad un gol di Fasanelli, ma il lunedì sera Sacerdoti volle i giocatori a rapporto e rimproverò De Micheli per l'incauto passaggio.
Il terzino abbassò il capo. Allora si fece avanti Masetti: «Signor Presidente, la colpa è soltanto mia. Sono io che ho chiesto la palla a De Micheli». La confessione lo mise in buona luce davanti a tutti i compagni. I giocatori della Roma, soprattutto il capitano Attilio Ferraris IV, apprezzarono la sua lealtà di uomo.

Tratto da La Roma una Leggenda Editrice il Parnaso

 

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